L'ansia è una risposta sostanzialmente fisiologica ad una sollecitazione interna o esterna che il cervello riceve. La percezione che normalmente si ha dell'ansia è, nel linguaggio comune, di qualcosa di fastidioso, che procura disagio o addirittura sofferenza nell'individuo.
Ogni giorno almeno dieci persone ci rispondono alla fatidica domanda Come stai? con una risposta che ci fa capire che sono ansiosi.
Sto correndo per non perdere l'autobus, Ho un appuntamento tra dieci minuti, Voglio arrivare in tempo per federe la partita, Scusa, ma mi chiudono i negozi, oppure Domani ho un esame, chissà… .
Tutti questi nostri amici e noi stessi sappiamo che per realizzare tutte quelle cose abbiamo assolutamente bisogno di una spinta, di una sollecitazione che ci muove e ci fa selezionare gli stimoli con attenzione. In realtà non potremmo vivere senza ansia: immaginiamoci ad attraversare la strada, ad aprire una porta in risposta al campanello, a prepararci per un esame. Senza l'ansia tutti questi comportamenti non potrebbero prevedere la capacità d'adattamento per rispondere ad uno stimolo che compare, talvolta d'improvviso a modificare i nostri equilibri, mentre altre volte lo conosciamo in anticipo e dobbiamo solo organizzarci. Esiste quindi una condizione connaturata con l'individuo, fatta di attese, di preparazione, di sforzo, che fornisce una risposta a ciò che internamente o esternamente ci sollecita. L'ansia nasce quindi anche dai ricordi o dalle emozioni, dalla elaborazione di quello che ci è successo in passato o che potrà accaderci in futuro. E poi c'è quella forma di ansia del tutto sconosciuta e maldestra, che proviene dall'inconscio, che non sappiamo razionalizzare e che ci attanaglia perché sfugge ad ogni identificazione. Paradossalmente questa condizione di tensione è quella che corrisponde all'equilibrio. Non potremmo vivere senza questa situazione squilibrata di equilibrio. Eppure il più delle volte non ce ne rendiamo conto: ci aspetteremmo che il benessere venga dall'assenza di stimoli, mentre questa condizione ideale corrisponde solo alla non esistenza. Il sonno stesso, ritenuto come una condizione di allontanamento dagli stimoli esterni, è invece un immenso crocevia di sollecitazioni inconsce e di elaborazioni necessarie per la vita della nostra esistenza. Bisogna quindi effettuare una sostanziale divisione tra ansia fisiologica o normale e ansia patologica. L'elemento che li distingue è la percezione che noi riceviamo dal cervello e dal corpo che lo stato di attesa è solo un punto di passaggio, un ponte capace di farci nuovamente reagire, che ci rende pronti ad una sollecitazione che ci stimola. La differenza fondamentale tra la normalità e la malattia dell'ansia consiste quindi nella percezione di disagio che proviamo quando siamo di fronte alla tensione, alla preoccupazione, al malessere che sentiamo in assenza di stimoli esterni o interni. È ansia quindi il sentirci pronti a reagire anche quando non avremmo motivo o bisogno di essere reattivi, quando siamo pronti a scattare e nulla ci allarma, quando proviamo una serie di segni fisici o psicologici anche se potremmo sentirci tranquilli e rilassati. E quando tutto ciò agisce dolorosamente sia su di noi che su quelli che a noi stanno vicini. Negli ultimi 30 anni si è potuto verificare come almeno un terzo della popolazione mondiale ha avuto o potrà avere un disturbo d'ansia nella loro vita:si è sempre pensato che i traumi psicologici potessero essere all'origine dei disturbi d'ansia mentre ora sappiamo con certezza che , nella maggior parte dei casi l'origine dell'ansia va addebitata sostanzialmente ad un disturbo, ad una malattia del cervello. Quest'impostazione non esclude la componente psicologica, né quella ambientale, sociale o educativa. Andiamo incontro ad un'integrazione, in cui dovremo accettare che anche i disturbi psicologici, come quelli fisici sono il risultato di una d'integrazione tra il nostro corpo e la nostra mente. L'ansia è dunque il crocevia tra come siamo fatti e come il mondo estremo interagisce con noi. Il risultato è che non potremo mai sperare di vivere senza ansia per quanto le regole impegnative del mondo ci impongono degli adattamenti a cui tentiamo di opporre una resistenza: è proprio il risultato di questo sforzo che caratterizza il rischio di soffrire per l'ansia.
Il Disturbo da Attacchi di Panico ( DAP ) Il DAP è caratterizzato dall'improvviso verificarsi di un senso di paura senza alcun motivo particolare o apparente, durante il normale svolgimento delle attività quotidiane. La maggior parte degli attacchi di panico raggiunge la massima intensità entro 10 minuti ed i sintomi sono caratterizzati da iperventilazione, tremori, movimenti oscillatori, sensazione di caldo o di freddo, sudorazione profusa, nausea, palpitazioni, dolori al petto. Alcuni presentano il fenomeno della depersonalizzazione ossia hanno la sensazione di trovarsi all'esterno del proprio corpo e di guardarsi dall'alto. Altri hanno invece la sensazione che il proprio corpo sia irreale, in questo caso si parla di derealizzazione. Ogni attacco può provocare una preoccupazione sempre maggiore, chiamata ansia anticipatoria che può aumentare fino a colmare le ore o le giornate che separano un attacco da un altro. Circa 1/3 dei giovani adulti ha almeno un attacco di panico tra 15 ed i 35 anni e, secondo il DSM IV dall'1.5 al 3.5% della popolazione mondiale sviluppa un disturbo da attacchi di panico nel corso della propria vita. Sembra esserci una causa biologica a tutto ciò: trigger difettoso della parte del cervello che normalmente scatena la reazione di difesa allo stress o fuga: durante un attacco di panico il cervello segnala un pericolo che nella realtà non c'è. Esiste inoltre una predisposizione genetica e quindi familiarità per questo disturbo. Il Dap si sviluppa e si aggrava gradualmente: inizialmente l'attacco o gli attacchi possono verificarsi improvvisamente, successivamente possono invece manifestarsi subito rima o subito dopo l'incontro con una persona, con un oggetto o con una situazione che determina ansia. Con l'accrescersi dell'ansia anticipatoria molte persone preferiscono evitare i luoghi le situazioni in cui si sono manifestati precedenti attacchi sviluppando agarofobia, nonostante essi non sappiano bene di cosa abbiano paura: l'importante è evitare l'attacco. Un esempio: inizialmente questi soggetti possono svolgere normalmente la loro attività quotidiana, se gli attacchi proseguono, tuttavia, si assisterà ad una graduale eliminazione della propria vita di relazione e lavorativa fino alla totale inabilità. Immaginiamo una giovane donna che non ha mai sofferto di ansia in passato che un giorno, d'improvviso, senza nessun segno premonitore, in una situazione di assoluta apparente normalità viva questo episodio. In un momento qualsiasi e in un posto qualsiasi di una giornata qualsiasi ha, d'improvviso la sensazione di essere prossima alla sua morte. Senza ragione viene assalita da giramenti di testa, dolori di stomaco, oppressione del respiro, tremori a tutto il corpo, brividi, nausea: una tempesta neuro vegetativa dalla quale teme che non uscirà mai e che per quanto duri pochi minuti sembra eterna. Questa persona al termine dell'attacco di panico cerca un sollievo da chiunque glielo possa dare: spiegandole cosa è successo, rassicurandola, dandole una pacca sulla spalla, dandole un farmaco o un consiglio che ridimensioni il terrore assoluto provato. La storia se non si interviene con una terapia adatta, dura per tempi infiniti. La prima preoccupazione sarà quella d'individuare la malattia fisica di cui soffre, e sarà senza risposta con il rischio di diventare ipocondriaci; la seconda sarà quella di mettere, inutilmente tra sé e il panico una distanza di sicurezza. Per questo comincerà ad evitare cioè a non fare tante piccole grandi cose della vita quotidiana con la scusa che potrebbero farla stare male. Alla fine degli evitamenti rimarrà solo la segreta aspettativa, mai corrisposta, che starsene chiusi dentro casa per il resto della vita, eviterà gli attacchi. La terza preoccupazione è quella di mantenere sempre un elevato livello di ansia anticipatoria, quella condizione fittizia di poter interferire, mantenendo un elevato livello di paura di avere paura con il decorso della malattia.
Diagnosi del disturbo di panico.
Gli psicologi e gli psichiatri possono diagnosticare un disturbo di panico con o senza agorafobia con l'aiuto dei cosiddetti criteri diagnostici del DSM IV, ovvero del manuale diagnostico per i disturbi psichici. Questi criteri sono per lo più frutto di studi a tavolino, in cui vengono presi come indicativi alcuni segnali che sono statisticamente accoppiati a questo disturbo (infatti la S in DSM sta proprio per statistico). Nella pratica clinica tuttavia gli attacchi di panico sono qualcosa di più ampio e, da un punto di vista proprio pragmatico, possono essere presi in considerazione, con le stesse tipologie di trattamento anche classi di configurazioni di segnali non in linea con quelli descritti nel manuale diagnostico. Secondo l'esperienza degli psicoterapeuti che si occupano approfonditamente di questo disturbo, infatti, quella che più di ogni altra componente caratterizza il disturbo di panico è senza dubbio la paura del prossimo attacco. Anche se per attacco dovesse venire indicato soggettivamente dall'individuo qualcosa che per il manuale diagnostico non dovrebbe corrispondere ad un vero e proprio attacco. Per lo psicoterapeuta una persona è soprattutto ciò che prova, non una statistica su una tabella. La seconda componente che caratterizza l'attacco, nel disturbo di panico, è il fatto che tale attacco possa insorgere apparentemente in qualunque momento e in qualunque luogo. In certi casi gli attacchi sembrano essere legati a luoghi, a persone o a periodi della giornata. In altri sembrano legati a situazioni. In ogni caso non c'è qualcosa di esclusivo, altrimenti si potrebbe parlare di fobie specifiche, claustrofobia, ipocondria o fobia sociale.
CRITERI PER L’ATTACCO DI PANICO
I criteri diagnostici per l’attacco di Panico secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:
Un periodo preciso di paura o disagio intensi, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:
1.palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia
2.sudorazione
3.tremori fini o a grandi scosse
4.dispnea o sensazione di soffocamento
5.sensazione di asfissia
6.dolore o fastidio al petto
7.nausea o disturbi addominali
8.sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento
9.derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi)
10.paura di perdere il controllo o di impazzire
11.paura di morire
12.parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
13.brividi o vampate di calore.
* American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.
Il sintomo degli attacchi di panico: cosa significa Questi segnali somigliano alla classica risposta attacca o fuggi che gli esseri umani sperimentano quando sono in una situazione di pericolo. Durante un attacco di panico, invece, questi sintomi sembrano spuntare fuori dal nulla. Possono capitare in situazioni apparentemente inoffensive, addirittura mentre si dorme. La causa sostanzialmente può essere imputata a due fattori: mentale e fisico.
Un attacco di panico è contrassegnato dalle seguenti condizioni:
■Capita improvvisamente, senza preavviso e senza modo di fermarlo
■Il livello di paura non è affatto proporzionale alla situazione corrente. In realtà, spesso non è affatto correlato.
■Dura da pochi minuti a mezz'ora circa; il corpo non riesce a sostenere la risposta attacca o fuggi più a lungo di così.
Attacchi di panico ripetuti possono tuttavia ricorrere di continuo per ore.
Un attacco di panico non è pericoloso, ma può essere terrificante, soprattutto perché si sente di perdere completamente il controllo. Il disturbo è così grave non solo per via degli attacchi di panico in sé, ma anche perché spesso porta ad altre complicazioni quali depressione e abuso di psicofarmaci. Gli effetti possono variare dal deterioramento delle relazioni sociali all'incapacità completa di affrontare il mondo esterno. Evitamento situazionale Di fatto le fobie che sviluppano le persone con disturbo da attacchi di panico non vengono dalla paura di oggetti o eventi reali, ma piuttosto dalla paura di avere un altro attacco. In alcuni casi, le persone eviteranno certi oggetti o situazioni (evitamento situazionale) per via della loro paura che queste possano far scaturire un altro attacco e subire ancora i sintomi degli attacchi di panico. fonte: www.sipsi.org