mercoledì 26 aprile 2017

Perché la perdita di un cane può essere più difficile della perdita di un parente o di un amico.



Recentemente, io e mia moglie abbiamo attraversato una delle esperienze più strazianti della nostra vita - l'eutanasia della nostra amata cagna, Murphy. Ricordo il momento in cui io e Murphy ci siamo guardati negli occhi prima del suo ultimo respiro - lei mi ha lanciato uno sguardo, un affettuoso mix di confusione e rassicurazione, tutto era ok perché eravamo entrambi al suo fianco.

Quando le persone che non hanno mai avuto un cane, vedono gli amici, proprietari di cani, piangere la perdita di un animale domestico, probabilmente pensano che si tratti di una reazione eccessiva; dopo tutto, è “solo un cane”.

Tuttavia, coloro che hanno amato un cane conoscono la verità: il vostro animale domestico non è mai “solo un cane”.

Spesso ho ricevuto confidenze da amici che si sentivano in colpa perché erano molto più addolorati per la perdita di un cane che per la perdita di amici o parenti. La ricerca ha confermato che per la maggior parte delle persone, la perdita di un cane è, sotto ogni punto di vista, quasi sempre paragonabile alla perdita di una persona cara umana. Purtroppo, nei nostri schemi culturali non c’è molto a riguardo – non vi sono rituali per il dolore, nessun necrologio sul giornale locale, nessuna funzione religiosa – che potrebbe aiutarci a superare la perdita di un animale domestico, e farci sentire un po’ meno in imbarazzo nel mostrare pubblicamente il forte dolore provato per la loro morte

Forse, se la gente capisse quanto sia forte e intenso il legame tra le persone e i loro cani, questo dolore sarebbe accettato più ampiamente. Tutto questo sarebbe di grande aiuto per i proprietari di cani, permettendo loro di integrare il lutto nella propria storia di vita e di guardare al futuro. 

Un legame interspecie come nessun altro

Cosa si trova esattamente nei cani da rendere così stretto il legame degli esseri umani con loro? 

Per cominciare, i cani hanno dovuto adattarsi a vivere con gli esseri umani nel corso degli ultimi 10.000 anni. E l'hanno fatto molto bene: sono gli unici animali ad essersi specificatamente evoluti per essere nostri compagni e amici. 
L'antropologo Brian Hare ha sviluppato l’ “ipotesi della domesticazione” [ndr: ipotesi dell’autodomesticazione] per spiegare come i cani si siano trasformati, a partire dai loro antenati lupi grigi, in animali socialmente qualificati, a tal punto che ora interagiamo con essi in modo assai simile a quello in cui interagiamo con altre persone. 

Forse uno dei motivi per cui i nostri rapporti con i cani possono essere ancora più soddisfacenti rispetto ai nostri rapporti umani, è che i cani ci forniscono un feedback positivo davvero acritico e incondizionato (come dice un vecchio proverbio, “Possa io diventare il tipo di persona che il mio cane pensa che io sia già”).

Questo non è un caso. Essi sono stati selezionati per generazioni allo scopo di prestare attenzione alle persone, scansioni di risonanze magnetiche (MRI) mostrano che i cani rispondono alle lodi dei loro proprietari in modo altrettanto forte a come fanno in risposta al cibo (e per alcuni cani, la lode è un incentivo ancora più efficace del cibo). I cani riconoscono le persone e possono imparare a interpretare gli stati emotivi umani dalla sola espressione facciale. Studi scientifici indicano anche che i cani sono in grado di comprendere le intenzioni umane, riconoscono le persone che cercano di aiutare i loro proprietari ed evitano quelle che non cooperano con essi o che non li trattano bene. 

Non sorprende che gli esseri umani rispondano positivamente a tale affetto incondizionato, al loro sostegno e fedeltà. Alle persone basta osservare i cani per sorridere. I proprietari di cani hanno un punteggio più alto sulle scale di benessere e sono più felici, in media, rispetto alle persone che possiedono gatti o che non abbiano animali. 

Come un membro della famiglia

Il nostro forte attaccamento ai cani è stato sottilmente rivelato in un recente studio di “misnaming”. Il misnaming accade quando si chiama qualcuno con il nome sbagliato, come quando i genitori chiamano erroneamente uno dei loro figli con il nome di un fratello. La ricerca ha scoperto che le persone scambiano il nome dei membri della famiglia umana con quello del cane di famiglia, ciò indica che il nome del cane di famiglia appartiene allo stesso pool cognitivo degli altri membri della famiglia. (Curiosamente, la stessa cosa accade raramente con i nomi dei gatti). 

Non c'è da stupirsi che i proprietari di cani soffrano così tanto la mancanza dei propri cani quando non ci sono più. 

La psicologa Julie Axelrod ha fatto notare che la morte di un cane è così dolorosa perché i proprietari non perdono solo un animale. Essa può rappresentare la perdita di una fonte di amore incondizionato, un compagno fondamentale che offriva sicurezza e comfort, e forse anche un protetto di cui si è stati il mentore come per un bambino. 

La perdita di un cane può anche sconvolgere gravemente la routine quotidiana di un proprietario più intensamente che la perdita della maggior parte degli amici e parenti. Per i proprietari, i programmi giornalieri - anche i loro piani per le vacanze - possono ruotare intorno alle esigenze dei loro animali domestici. I cambiamenti nello stile di vita e di routine sono alcune delle fonti primarie di stress.

Secondo una recente indagine, molti proprietari di animali in lutto interpretano erroneamente suoni e avvistamenti ambigui, con i movimenti, ansimi e guaiti del pet defunto. E’ più probabile che questo accada poco dopo la morte dell'animale domestico, in particolare tra i proprietari che avevano livelli molto elevati di attaccamento ai loro animali domestici.

La morte di un cane è terribile, ciò nonostante i proprietari di cani sono così abituati alla presenza rassicurante e non giudicante dei loro compagni canini che, il più delle volte, alla fine, prenderanno un altro cane. 

Quindi sì, mi manca il mio cane. Ma sono sicuro che sarò io stesso a mettermi di nuovo di fronte a questa prova terribile negli anni a venire.

Tradotto e adattato da: The Conversation

martedì 18 aprile 2017

Il dilemma del contagio da suicidio. Parlare o non parlare di suicidio?



Negli ultimi anni, la ricerca ha dimostrato che il suicidio può potenzialmente diffondersi attraverso i social network - un fenomeno che alcuni hanno definito “contagio da suicidio”.

Diverse tecniche sofisticate di analisi statistica hanno ampiamente raggiunto la stessa conclusione: se qualcuno è esposto al tentativo di suicidio o alla morte per esso di un amico, ciò aumenta il rischio di quella persona di pensieri e tentativi di suicidio.

Le conseguenze possono essere devastanti per le famiglie, i compagni di classe e i cittadini, che rimangono da soli a cercare di comprendere le ragioni dei suicidi a catena che si verificano nelle loro comunità, da Newton nel Massachusetts, a Palo Alto in California.

E’ una domanda che rappresenta una sfida per i ricercatori, che da decenni cercano risposte. Il ruolo del contagio da suicidio è forse uno degli aspetti meno compresi del suicidio, esso ci mette in una posizione di grosso svantaggio quando si devono progettare strategie efficaci per prevenire la diffusione dei suicidi.

Per questo motivo, nel nostro recente studio, abbiamo esaminato gli adolescenti. Volevamo sapere se l’essere o meno a conoscenza del tentativo di suicidio di un amico, può cambiare la possibilità del rischio personale di mettere in atto dei tentativi di suicidio.

Utilizzando dati longitudinali, abbiamo scoperto che gli adolescenti che hanno appreso del tentativo di suicidio di un amico, hanno quasi il doppio delle probabilità di tentare il suicidio un anno dopo. I giovani che hanno effettivamente perso un amico a causa di un suicidio, hanno un rischio ancora più elevato. È interessante notare che, gli adolescenti a cui gli amici non avevano parlato del loro tentativo di suicidio, non avevano un aumento significativo del rischio di suicidio un anno più tardi.

Il nostro studio ha diverse implicazioni interessanti per la prevenzione del suicidio.

In primo luogo, per un adolescente fare esperienza del tentativo di suicidio, o della morte, di un amico, sembra cambiare il profilo di rischio in modo significativo. Prima o poi tutti noi siamo esposti al suicidio, sia se questo avviene attraverso la lettura di Romeo e Giulietta, sia semplicemente guardando il telegiornale. Ma l'esposizione al tentativo di suicidio di un amico, o alla sua morte, appare trasformare l'idea lontana del suicidio in qualcosa di molto reale: un significativo e tangibile copione culturale, che i ragazzi possono mettere in atto per far fronte alle difficoltà.

In secondo luogo, seguendo il vecchio adagio “chi si somiglia si piglia”, alcuni hanno sostenuto che gli adolescenti depressi possono semplicemente fare amicizia tra loro, il che spiegherebbe il motivo per cui i gruppi di amici hanno tassi di suicidio simili (e contraddirebbe la teoria del contagio da suicidio).

Tuttavia i nostri risultati aggiungono alla letteratura esistente, l’indicazione che il contagio da suicidio non è semplicemente un fenomeno adolescenziale ove i ragazzi scelgono amici con una vulnerabilità al suicidio simile alla loro.
Se il contagio non avesse importanza, non dovrebbe averne neanche l’essere a conoscenza dei tentativi di suicidio. Ma, è evidente che, solo se i giovani sanno del tentativo di suicidio del loro amico, il rischio si innalza.

Come possiamo allora utilizzare questa conoscenza?

E' chiaro che il suicidio non è semplicemente un prodotto della malattia psicologica o di fattori di rischio psicologici. L'esposizione al suicidio, anche se è solo un tentativo, è emotivamente devastante, e gli adolescenti hanno bisogno di sostegno per affrontare le emozioni complesse che seguono l’evento. Qui, la prevenzione - o, come a volte è chiamata, “postvention strategies” (strategie post intervento) - diventa cruciale.

Una chiara implicazione del nostro lavoro è che nelle indagini di screening per il rischio suicidario, ai ragazzi si dovrebbe sempre chiedere, se siano a conoscenza di qualcuno che abbia tentato o sia morto per suicidio. In realtà, molti strumenti affidabili per lo screening adolescenziale per il suicidio includono domande circa l'esposizione ad esso.

Tutto ciò sembra ragionevole. Ma poi le cose diventano meno chiare e più difficili da interpretare.

Sulla base di quello che la nostra ricerca ha dimostrato, è naturale chiedersi se le persone che hanno tentato il suicidio dovrebbero essere scoraggiate dal parlarne. C'è il timore che, parlando di suicidio, potremmo senza intenzione promuoverlo.
Allo stesso tempo, se noi incoraggiamo le persone a non parlare di suicidio - in particolare i giovani - si potrebbe perdere l’opportunità di aiutare coloro che hanno pensieri suicidari e che stanno contemplando di togliersi la vita.

Inoltre, il senso di appartenenza ad un gruppo - sostenuto da amici e familiari, all’interno di una vita sociale sana - è essenziale per la prevenzione del suicidio. Se incoraggiamo i giovani a non parlare di suicidio, possiamo involontariamente aumentare la sensazione di isolamento degli adolescenti con pensieri suicidi, sensazione che contribuisce al rischio di suicidio.

A causa dello stigma pervasivo sulla malattia mentale e sul suicidio, è spesso molto difficile per le persone ammettere che hanno bisogno di aiuto. Così, invece di incoraggiare il silenzio sul tema del suicidio, potrebbe essere meglio educare gli adolescenti su come rispondere in modo appropriato se un amico rivelasse loro dei pensieri suicidari o un tentativo di suicidio.

Fortunatamente, esistono programmi basati su prove di efficacia come Question, Persuade, Refer (QPR) e SOS Signs of Suicide program. Questi programmi possono insegnare ai ragazzi strategie per ricevere aiuto dagli amici, basate su fonti specialistiche (per inciso, questi programmi sono spesso offerti nelle scuole).

Inoltre, è importante che genitori, insegnanti e allenatori si sentano a proprio agio nell’affrontare il discorso del suicidio; essi hanno bisogno di diventare esperti nelle risposte adeguate, e rendersi conto che un tentativo di suicidio può avere un effetto a catena che si riverbera oltre il singolo individuo.

Dopo tutto, è quando gli adolescenti sono lasciati soli ad affrontare il disagio dei loro amici che diventano più esposti al lasciarsi contagiare dai comportamenti e dalle ideazioni suicidarie.

Tradotto e adattato da: the conversation

mercoledì 5 aprile 2017

Perché così tanti veterinari si suicidano?



Ha trattato le ulcere allo stomaco del nostro maiale, le sue artriti e il suo attacco di cuore da congestione. Ha salvato la vita della nostra gallina. E quando la nostra amata Border collie, Sally, giaceva morente nella nostra camera da letto, è venuto a casa nostra e mentre io la tenevo e singhiozzavo sul copriletto, l'ha liberata dalla sua malattia.

E' difficile pensare nella nostra vita a persone più importanti, più necessarie, più venerate dei nostri veterinari. Per tutti noi che amiamo gli animali, la medicina veterinaria è una delle professioni più nobili al mondo.

Così ho appreso con shock e costernazione che i veterinari soffrono di allarmanti tassi alti di depressione e suicidi.

"E' un grave problema," afferma Stephanie Kube, una veterinaria neurologa specializzata in patologia del dolore al centro veterinario di neurologia e gestione del dolore di Walpole in New England. "La professione è profondamente afflitta."

Nel 2014 un sondaggio su 10000 veterinari praticanti, effettuato online dal centro federale per il controllo e la prevenzione delle malattie, pubblicato nel 2015, ha scoperto che più di un veterinario americano su sei ha considerato l'ipotesi del suicidio. I veterinari soffrono di sentimenti di disperazione, di depressione, e di altri disagi psichiatrici due o tre volte di più del resto della popolazione.

Due studi pubblicati nella rivista dell’Associazione di Veterinari Britannici, The Veterinary Record, hanno rilevato che i tassi di suicidio sono due o tre volte maggiori rispetto a quelli nei dentisti o nei medici e addirittura quattro/sei volte in più rispetto al resto della popolazione.

La tragedia è contro-intuitiva: molti veterinari si approcciano alla medicina animale sin dall'infanzia. Sono tra i pochi fortunati che realizzano i propri sogni. Con le carriere dedite a salvare la vita degli animali, perché i guaritori scelgono di metter fine proprio alla loro?

Queste constatazioni appaiono sorprendenti anche ai veterinari stessi. Nel 2012 un'inchiesta tra i direttori di diverse associazioni veterinarie del paese e tra i veterinari praticanti in Alabama ha scoperto che solamente l'11% dei veterinari era consapevole che il suicidio fosse un problema nell'ambito della propria professione.

Eppure, se chiedete al vostro veterinario, è probabile che sappia di un collega o di compagno di studi che ha smesso con la professione, si è esaurito, o che si è suicidato o suicidata. E quasi tutti i veterinari americani hanno sentito parlare del tragico caso della veterinaria di New York Shirley Koshi avvenuto nel 2014.

Un buon samaritano aveva raccolto e salvato un gatto malato nei pressi di un parco e l'aveva portato nella clinica più vicina, quella della Koshi, proprietaria e responsabile della Clinica Veterinaria "Gentle Hands" a Riverdale. La Koshi curò e adottò l'animale. Settimane dopo, apparve una donna, che chiese alla Koshi di darle indietro il gatto. Affermava che il gatto fosse suo perché per lui, come per altri gatti che girovagavano per il parco pubblico, aveva lasciato del cibo.

La donna la citò in giudizio; dimostranti infuriati picchettarono lo studio della Koshi, vennero organizzati gruppi di contestatori che attaccarono la veterinaria anche online. Alla fine la Koshi, a 55 anni, si tolse la vita in casa sua.

"La gente ha l'idea sbagliata che il mestiere del veterinario sia vaccinare cagnolini e gattini per tutto il giorno", afferma Marie Holowaychuk, una specialista in emergenza e terapia intensiva a Calgary, Alberta.

Mentre i veterinari affrontano abilmente pazienti che possono mordere, graffiare e calciare, è spesso il cliente umano, affermano i veterinari, a portarli sull'orlo del precipizio.

"Molti dei nostri clienti sono fantastici e noi li amiamo ma ogni sorta di persone possiede animali", afferma Kube. Alcuni adottano o salvano animali e poi non sanno prendersene cura. Altri vogliono sopprimere animali sani. Alcuni proprietari di animali hanno problemi e disagi emozionali. Alcuni sono messi troppo male economicamente per poter pagare le cure veterinarie. "E c’è chi pensa che i veterinari facciano tutto gratis, perché amano gli animali", afferma Kube," e noi lo facciamo, ma non possiamo". Molti veterinari, ella afferma, si accollano enormi debiti dall'Università, che costa come o di più di una scuola di medicina. Ma la maggior parte dei veterinari guadagna meno di un terzo di quanto guadagnino medici o dentisti, soprattutto perché riscuotono meno e non vengono rimborsati dai vari Medicare, Medicaid o da altri programmi di assicurazione medica (l'assicurazione per gli animali da affezione esiste ma pochi sono coloro che l'hanno stipulata).

Eppure i veterinari devono essere testimoni, e spesso assistere, nel momento più straziante per chi cura, molto più spesso di quanto tocca ai medici per umani. "Molti dei nostri pazienti muoiono durante la nostra carriera", il mio veterinario, il Dr. Chuck DeVinne dell'Animal Care Clinic a Peterborough, N.H., mi disse - semplicemente perché gli animali da compagnia hanno vite più brevi rispetto agli essere umani.

I veterinari incontrano la morte di frequente, e allo stesso tempo si imbattono in alcune problematiche etiche che ai medici non capita di affrontare. Si consideri un veterinario che ha bisogno di consigliare un proprietario costretto a scegliere tra un'operazione costosa per il suo animale o mandare il figlio al college, o peggio, un veterinario che operi un animale che malgrado le migliori cure muoia ugualmente.

Quando le cose vanno male, i veterinari se la prendono a cuore. "Molti veterinari sono estremamente dediti a tutto ciò che concerne la loro professione" afferma DeVinne.

Quando questo stress si combina a tante ore di lavoro e con carichi di turni di reperibilità, è facile capire come chiunque possa crollare. E poiché i veterinari distribuiscono la "Morte dolce " ai loro pazienti con l'eutanasia, essi possono facilmente credere che la morte sia la via d'uscita al dolore. Tutti loro hanno facile accesso ai farmaci che possono uccidere.

Cosa si può fare per prevenire burn-out, depressione e suicidio? Holowaychuk pratica yoga e meditazione e oggi, come istruttore certificato di yoga e di meditazione incorpora queste pratiche in workshop di trattamenti benessere per colleghi veterinari. (Per saperne di più su di loro, visita: www.criticalcarevet.ca/wellness.) 

Raccomanda, inoltre, che i clienti stipulino un'assicurazione cosicché i costi non si trasformino in problemi. DeVinne sottolinea come sia importante per i veterinari sviluppare interessi al di fuori dell'ambiente lavorativo: lui è un giocatore nazionale di tiro al bersaglio e un buon suonatore di banjo.

"Educare il pubblico è il primo passo" per guarire i guaritori di animali, afferma Kube. Vi esorto a fare come faccio io quando porto il mio cucciolo per una visita: dite al vostro veterinario, e al suo staff, che siete grati loro per ciò che fanno.

Tradotto e adattato da: The Boston Globe




domenica 2 aprile 2017

Giornata Mondiale dell'Autismo, video: Possono Accadere Cose Meravigliose.

Oggi 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale dell'Autismo, sancita dalle Nazioni Unite con la Risoluzione ONU 62/139 del 18 dicembre 2007. Lo scopo è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica circa un disturbo che riguarda un numero sempre maggiore della popolazione e accrescere l’impegno al miglioramento dei servizi e alla promozione della ricerca.

Pertanto oggi ho scelto di pubblicare un simpatico video, che vuole essere un'introduzione all'autismo per creare consapevolezza nei giovani non-autistici e stimolare la comprensione e l'accettazione nelle generazioni future. 



La pagina del progetto originale per la lingua inglese ed altre lingue è su: Amazing Things Happen
La voce italiana è di David Vagni - Spazio Asperger.